Sono personalmente convinto – ma non pretendo certo di fare una scoperta – che non ci sia molto di davvero reale nei cosiddetti “reality”. Anche senza scomodare Heisenberg e la meccanica quantistica per l’interazione osservatore-osservato (non ci addentriamo, per carità), va da sé che avere davanti (o accanto, o dietro, o sopra, o dove pare a voi o al regista) una telecamera non può generare comportamenti davvero “naturali”, ma al massimo può indurne di “naturalmente recitati” (ma già bisogna essere un attore almeno discreto); poi non ci scordiamo il personale di studio, i truccatori, e compagnia cantando (non sono un esperto ma qualche esperienza “da pubblico” in tv l’ho fatta).
Certo, e qui veniamo a “noi che ci piacciono i fornelli”, anche i vari programmi dove si cucina non sono esattamente “reality”, o almeno non tutti. Mettendo da parte cucine disastrate da recuperare, ristoranti da promuovere, o cuochi casalinghe/casalinghi sotto esame (che forse appartengono già di più alla categoria “reale con regista”), ci sono i cosiddetti “talent”, che dopo cantanti, ballerini, e performers di tutte le specie immaginabili (e anche inimmaginabili), inevitabilmente sono arrivati a cuochi, baby-cuochi e cucinieri, professionisti o dilettanti (o presunti tali), affiancati, diretti, redarguiti, spronati, rimproverati e mandati a casa da chef veri (e a questi tanto di cappello, sia chiaro). I quali cuochi, baby-cuochi e cucinieri a volte fanno piatti che uno dice “però, davvero bella idea”, e a volte non ti spieghi come gli sia venuto fuori quell’intruglio che pare orribile solo a guardarlo (e infatti lo chef vero conferma senza troppi complimenti). Il dubbio allora ti torna (ma forse non se n’era mai andato), che quella bella idea non fosse proprio tutta “spontanea”, o che quell’intruglio dovesse venir fuori per esigenze di copione.
Eppure, come dico nel titolo di queste due righe, ci ricasco (abbastanza) spesso. Ebbene sì, i talent di grembiuli da chef li guardo, magari facendo finta che “mi capiti per caso”, magari con la scusa che “beh,magari prendo uno spunto”o “chissà, hai visto mai che imparo una cottura”, e simili. Li guardo, e metto pure in pausa (oggi si può, lo sapete) se suona il telefono. Perché? Qualcuno che legge potrebbe rispondere con un apprezzamento poco lusinghiero su me, ed è libero di farlo e di pensarlo. Io però…
Io però dico, e mi dico, che se si parla di una cosa che ci appassiona, ma ci appassiona davvero, anche vederla un po’ sfruttata, anche pensare che la stanno un po’ maltrattando, anche capire che un po’ ci speculano, comunque non basta a non farci curiosare, a non voler vedere che ne dicono, a non non voler almeno sapere “come” se ne parla.
Credo perciò che i signori dell’audience abbiano fatto bene i loro conti – come del resto fanno quasi sempre – e che potranno contare su una platea più larga di quella che ammette senza remore che questi talent li segue con costanza (e hanno ragione anche loro, chi dice di no). Infondo, se questo vuol dire che c’è qualcuno che basta si dica “cucina” perché voglia sapere almeno di che si tratta, io sono contento: “più siamo e meglio stiamo”. Come a tavola.